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La festa di santa Lucia ieri e oggi

Quest’anno non potremo assistere all’accensione del falò di Santa Lucia in via Principe Umberto a causa delle restrizioni imposte dall'emergenza epidemiologica da COVID-19. Il falò in onore della santa siracusana, considerata dai devoti la protettrice della vista e di tutti coloro che soffrono di problemi legati a quest'ultima, costituisce un momento di cultura, tradizione, religione e spirito comunitario molto sentito dai nocesi,  tanto da spingere il Comune di Noci a chiedere l’iscrizione della “Festa di Santa Lucia” nel registro previsto dalla legge n. 1 del 25 gennaio 2018 con la quale la Regione Puglia riconosce e valorizza i rituali festivi legati al fuoco, come espressioni del patrimonio storico e culturale della comunità regionale, e quali strumenti di sviluppo dell’immagine turistica regionale, idonei a sviluppare la conoscenza e lo scambio con altre simili realtà nazionali, europee e mondiali.

Con Determinazione del dirigente della Sezione Turismo la Regione Puglia ha accolto la richiesta del nostro Comune e, pertanto, la festa nocese di Santa Lucia concorrerà a formare il calendario annuale delle manifestazioni storiche della Puglia contraddistinte dal logo “PUGLIA” utilizzato dalla Regione Puglia per la comunicazione turistica. Il 16 dicembre 1948 mons. Luigi Gallo (Noci, 1882-1973) pubblicava su “La Gazzetta del Mezzogiorno” l’articolo intitolato “La leggenda di due sante” dedicato a S. Cecilia e a S. Lucia. Proponiamo la bellissima parte dedicata proprio alla festa di S. Lucia a Noci.

Lo scritto è presente anche nel volume, consultabile presso la nostra Biblioteca, intitolato “Mons. Luigi Gallo”, curato da padre P. Giuseppe Poggi, edito nel 1974 dalle edizioni La Scala.

[…] “Nella storia del martirio di S. Lucia troviamo invece l’episodio del rogo, nel quale la Santa fu gettata e da cui uscì illesa. Questo episodio spiega l’usanza del falò, che in varie parti si accendono, in onore di S. Lucia, il 13 dicembre giorno della sua festa. Sono tanti anni che non vedo il falò del mio paese nativo [quando scrive mons. Gallo vive a Conversano]: quello era, ai tempi della mia verde età – e mi dicono sia ancora – un falò di eccezione. All’ora del vespero del 12 dicembre, mentre “Colino il sagrestano” iniziava con le quattro campane (quattro come le voci umane) la sinfonia coi classici quattro tempi: duetto d’introduzione delle voci bianche (la campana piccola e la campana dello ufficio) allegro di concerto con intervento delle voci virili (la campana Barbara e la campana Maria) adagio con variazioni e finale, i monelli preparavano nella piazza antistante alla Chiesa Madre i primi mucchi di fascine racimolati chi sa come: era presente il venditore ambulante di petrolio, una figura caratteristica, che i miei coetanei certo ricorderanno, il quale “a sua devozione” aveva portato un batuffolo ben imbevuto di petrolio: senza petrolio difficilmente i fiammiferi avrebbero avuto ragione del soffio della tramontana. Si suscitava così una modestissima fiamma, che diventava subito più vivace con le sarcinelle di quercia portate dalle pie donne. Ma ecco che cominciano ad arrivare ad uno, a due, a tre tronchi di medio e grosso calibro, che immessi nel fuoco fanno elevare le vampe ad altezza considerevole, ecco che giungono le prime carrette, questa volta sono i boscaiuoli (allora a Noci c’erano tanti boschi!) che mandano o portano la loro offerta a S. Lucia: piccoli boscaiuoli piccoli carrettate, grossi boscaiuoli grosse carrettate. La sinfonia delle campane è finita: intanto si avviano verso S. Domenico richiamati dai noti colpi della grancassa (tre lenti e due rapidi) i bandisti: sono la più parte adolescenti, alcuni addirittura ragazzi: solo i quattro suonatori di basso a tracolla sono giovani fatti: non si può mica suonare quello strumentone con labbra quasi infantili…

Mentre dunque il falò prendeva proporzioni sempre più vaste, usciva la banda, percorrendo le vie al suono di quei famosi passi doppi, di cui pure si è perduto lo stampo. Niente casse armoniche per la festa di S. Lucia, niente luminarie brr… con quel freddo! Ma i piccoli artisti avevano già cominciato i concerti (così si chiamano le prove) nella sala di musica di Piazzetta Armonia… già preparavano il primo programma, che avrebbero eseguito a Capodanno”. […]

“Dopo il giro, la banda si ritirava, ma riprendeva servizio prima dell’alba per rallegrare i buoni popolani, che rinunziando al calduccio del letto, avevano passato la notte al caldo della fornace, la quale si era frattanto impinguata col successivo generoso contributo ligneo, raggiungendo proporzioni colossali! Non più falò, era una pira omerica: le fiamme ormai superavano il fastigio della Chiesa ed avvolgevano in bagliori d’incendio il campanile. Dopo la messa cantata uscirà la processione con la bellissima statua della Santa. E la pira arderà, arderà fino a tarda sera quando, ridottasi in un enorme braciere, servirà ancora alla devozione delle pie donne che verranno ad attingere le braci, come domani si divideranno le ceneri. Ma probabilmente domani troveranno la cenere ancora ardente circondata a debita distanza, s’intende, dal coltrone della neve caduta durante la notte”.

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U fuèche de S. Lucie

 

E Nusce, o paìse mì,

appìccene a forapòrte

nu belle fuèche a S. Lucì.

Penzànne a chessa santa morte,

ca da minz’e fiamme o cjle salì,

a tutte ‘nge vene d’u Paradise

a nostalgì.

 

Quann’erème menìnne,

s’aspettève tutt’a dì,

ca i trunche s’appeccèvene e

tutt’atturne i gente se mettèvene.

 

Madonne quand’ère granne!

trunche e strascedde,

tavele e seggetédde.

Ognune se purteve d’a chèse a fracere,

pe pigghijarse u fuèche,

pure ce n’an’aveve cère.

E mentre tutte s’angallescèvene

o fuèche beneditte,

i facidde salèvene fin’o titte.

A facce rossa rosse addeventève

e u core calle calle

fin’e stelle se ne scève.

 

Ce pregheve S. Lucie

de farce acchijè lavore e u puène,

ce d’acchijè apprisse o puène u mescketùre

e i commerciante chjù solte ind’o tratùre.

Ogune u tire e a poste alzève

ma contre all’alte nesciune scève.

Invidia, gelosie, penzire brutte

ind’o fuèche beneditte s’asckuève tutte.

Tutte se perdunève,

e mène vers’u fuèche s’allunghève

e u core che l’alte se scangève.

 

U fuèche a S. Lucie e Nusce

s’appìcce sembe,

ma iosce so’ assè i vuè

ca ognune tene a mente.

L’amore da stu paìse se n’è sciute

e, pure vecìne o fuèche,

a mène remuanne fredde,

u core mute.

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A Noci, il mio paese,

in piazza si accende

un gran falò per S. Lucia.

Pensando a questa Santa

che dalle fiamme salì al cielo,

del Paradiso a tutti viene

la nostalgia.

 

Quando eravamo bambini,

aspettavamo per tutto il giorno

che la legna si accendesse e

la gente si mettesse tutt’intorno.

 

Mamma mia, quanto era grande!

Tronchi interi e tavole,

tavoli e sedie.

Ognuno si portava da casa il braciere

per prendersi un po’ di fuoco,

anche se con un po’ di vergogna.

E mentre tutti si scaldavano

col fuoco benedetto,

le faville salivano fin sul tetto.

La faccia diventava rossa rossa

e il cuore caldo caldo

andava alle stelle.

 

Chi pregava S. Lucia

di fargli trovare lavoro e pane,

chi insieme al pane voleva il companatico

e i commercianti più soldi nel cassetto.

Ognuno chiedeva di più per sé,

ma nessuno chiedeva il male per gli altri.

Invidia, gelosia, malvagità

si bruciava tutto nel fuoco.

Tutto si perdonava,

le mani si allungavano verso il fuoco

e i cuori erano pieni di solidarietà

 

Anche ora a Noci

si accende il falò a S. Lucia,

ma ognuno pensa ai propri guai

che oggi son tanti.

L’amore da questo paese se ne’è andato

e, anche vicino al fuoco,

la mano rimane fredda,

il cuore muto.

 

Giulia Basile

da “Meddìchele: briciole di vita quotidiana in versi con traduzione a fronte” (Noci, Carucci, 1995)

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